Sabato prossimo mi recherò nell’isola di Lesbo, dove nei mesi scorsi sono transitati moltissimi profughi. Andrò, insieme con i miei fratelli il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo e l’Arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia Hieronymos, per esprimere vicinanza e solidarietà sia ai profughi sia ai cittadini di Lesbo e a tutto il popolo greco tanto generoso nell’accoglienza. Chiedo per favore di accompagnarmi con la preghiera, invocando la luce e la forza dello Spirito Santo e la materna intercessione della Vergine Maria.
(Francesco – Udienza generale 13 aprile 2016)
Carissime Amiche, Carissimi Amici,
il Papa che andrà a Lesbo sembra dire all’Europa qualcosa di molto semplice: la direzione presa con il vertice UE – Turchia, di respingere i profughi e i migranti dalla Grecia alla Turchia nell’operazione “uno a uno”, non va nella direzione giusta per un Continente che si vuole terra del diritto e dell’accoglienza. Ed essendo Francesco un uomo che preferisce i fatti alle parole, ha deciso di andare, subito e di persona a Lesbo, in uno di quei campi profughi che sono diventati di fatto delle prigioni. Forse nessun viaggio papale è mai stato organizzato con tanta rapidità. Francesco, evidentemente, aveva fretta. La sacrosanta fretta di dire all’Europa che sta sbagliando.
Le navi che cominciano a partire da Lesbo per la Turchia sono cariche di uomini che hanno affrontato il deserto, la guerra, i trafficanti, il mare e la fame. Li si risospinge in un Paese che non offre complete garanzie in fatto di diritti umani. Davvero tutto questo non è violazione della Convenzione di Ginevra, si domandano in molti?
Ma l’Unione Europea pare soddisfatta. Secondo l’accordo raggiunto, la Turchia assume – a pagamento – il ruolo di “tappo” al flusso dei profughi, e il problema si sposta dunque oltre i nostri confini. A Lesbo, però c’ è gente che giura che non si farà rispedire indietro. Ci sono anche centinaia di ragazzini soli. Che ne sarà di loro, ricacciati fuori dall’Europa?Tre anni fa, quando andò a Lampedusa, il suo gesto era un grido contro i naufragi, contro le stragi in mare in un Occidente distratto, che a quelle stragi si era abituato. Oggi, mentre l’inferno siro-iracheno ha moltiplicato i profughi, l’andare di Francesco ha un valore ancora più netto. perché contro una logica che produce accordi senza umanità. Già alla Domenica delle Palme, parlando dell’indifferenza che Cristo ha sperimentato su di sé avviandosi verso la morte, Francesco aveva accostato quella solitudine a quella dei profughi, di cui molti non vogliono assumersi la responsabilità. Parlava a noi occidentali, e prima di tutto a noi cristiani, ben sapendo come si possa definirsi tali e poi alzare muri e barriere, come fa ora l’Austria al Brennero. È questa indifferenza, ci ha detto Francesco, la stessa che duemila anni fa ha lasciato andare a morte un innocente.
Di nuovo, come a Lampedusa o sul muro che divide il Messico dagli Stati Uniti, Francesco si è posto sul confine del “primo mondo” per dirci che sbarrare quelle porte potrà forse rispondere a calcoli politici, o a timori di “invasioni”, o alla logica prudente in cui quasi tutti viviamo: però, ricacciare indietro chi muore e domanda di vivere non è cristiano, non è civile e non è umano. E domani, a Lesbo, sarà difficile fare finta di non vedere dov’è, il nostro Dio della Croce.
La Commissione ed Enrico