La Repubblica Democratica del Congo (Rdc), nel cuore vitale dell’Africa subsahariana, potrebbe essere un autentico paradiso terreste. Crogiuolo di popoli con straordinarie culture ancestrali – quasi 82 milioni gli abitanti divisi in trecento principali etnie –, è un Paese attraversato da immense foreste equatoriali con una vegetazione spontanea che si manifesta, a quelle latitudini, nelle forme più esuberanti, tra cui spiccano i palmizi e i legni più pregiati, quali l’ebano e il mogano. Per non parlare dei suoi grandi fiumi o degli struggenti tramonti che rendono questo vastissimo territorio un concentrato di bellezze paesaggistiche che vanno al di là di ogni fantasia e immaginazione. E cosa dire delle immense ricchezze del sottosuolo che accolgono l’intera gamma dei minerali del nostro pianeta?
Alla prova dei fatti, l’ex Zaire – come si chiamava durante il regime del defunto Mobutu Sese Seko – potrebbe essere davvero un Paese senza problemi, mentre oggi rischia l’implosione, come segnalano le vicende recenti. «Il sequestro di padre Robert Masinda – del clero della diocesi di Butembo-Beni – e di un suo collaboratore, avvenuto il 22 gennaio, è sintomatico del malessere che da molto tempo attanaglia il Paese africano», si legge non a caso nel comunicato di solidarietà diffuso ieri dalla Conferenza episcopale italiana. Si è trattato del sesto rapimento di un sacerdote dal 2012, in un contesto, quello del Kivu settentrionale, dove la stremata popolazione civile è sottoposta, quotidianamente, ad ogni genere di vessazioni da parte di varie formazioni armate. È evidente che gli interessi legati alle immense ricchezze del sottosuolo rappresentano il principale oggetto del contenzioso, scatenando gli appetiti di potentati stranieri d’ogni genere.
La Rdc possiede – è bene rammentarlo – la metà della riserva mondiale di cobalto utilizzata per le fibre ottiche, ma anche per la produzione di armamenti, ed è il quarto produttore di diamanti, con immense riserve di uranio, oro, coltan, rame e petrolio. Dunque, contrariamente a quanto spesso si pensa, questo Paese non è affatto povero, semmai è impoverito. È proprio per questa ragione che da tempo il gesuita Rigobert Minani denuncia l’inganno. Si tratta di uno degli esponenti più autorevoli della società civile congolese che da anni va ripetendo che «quando si dice che il Congo è uno “scandalo geologico” s’intende che il Paese è potenzialmente ricco». Da sempre queste ricchezze hanno condizionato la storia nazionale.
Sì, proprio le stesse risorse che sono state al centro delle guerre che dal 1996 al 2003 (con penosi strascichi fino ai giorni nostri) hanno insanguinato l’ex Zaire, provocando 4, se non addirittura 5/6 milioni di morti. Col risultato che oggi la situazione politica nazionale è incandescente, segnata com’è dalla repressione nei confronti della società civile e in particolare di quei cattolici che, lo scorso 31 dicembre, hanno protestato contro coloro che nel Paese africano impediscono lo svolgimento delle elezioni. Come era prevedibile, tutto continua a passare in sordina, nella quasi totale indifferenza dell’opinione pubblica internazionale.
Il bilancio della repressione, il giorno di San Silvestro 2017, è stato di undici morti a Kinshasa e di uno a Kananga. La marcia “nonviolenta” aveva lo scopo di invitare il presidente uscente Kabila, che già da tempo avrebbe dovuto dimettersi, a rispettare il 1° paragrafo dell’articolo 70 della Costituzione, il quale recita: «Il presidente della Repubblica è eletto per un mandato di cinque anni rinnovabile una sola volta».
Di fronte a questi tragici fatti, le cancellerie europee si sono di fatto limitate a condannare l’accaduto senza però esercitare quella dovuta pressione sul governo congolese che continua a fare il bello e il cattivo tempo, procrastinando la consultazione elettorale. Oggi, l’ex Zaire è una grande polveriera che potrebbe esplodere definitivamente da un momento all’altro. Ne è consapevole papa Francesco che, ricevendo in udienza Kabila il 26 settembre del 2016, aveva sottolineato l’importanza della collaborazione tra gli attori politici e i rappresentanti della società civile e delle comunità religiose, in favore del bene comune, attraverso un dialogo rispettoso e inclusivo per la stabilità e la pace nel Paese. Spetta ora al consesso delle nazioni e in particolare all’Unione Africana l’arduo compito di dirimere la matassa degli intrighi, prima che scoppi l’ennesima guerra congolese. Giulio ALBANESE – Avvenire – 25 gennaio 2018
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