La grazia di aver conosciuto e collaborato con le missioni, il valore dalla salvezza che sia di Giona, di S. Paolo o di P. Gigi, perché la missione possa continuare, la speranza che le nuove generazioni raccolgano il testimone di una tradizione missionaria ricchissima come la nostra sono stati i temi toccati dal vescovo Daniele durante il suo intervento alla Veglia missionaria.
Sono venuto qui, questa sera, senza aver preparato un intervento previo. Volevo anch’io mettermi soprattutto in ascolto. I due testi sui quali è intessuta questa veglia – il racconto di Giona e quello del naufragio di Paolo, nel penultimo capitolo degli Atti degli Apostoli – mi sono molto cari e li ho meditati tante volte; ma ho preferito venire qui anzitutto con il desiderio di ascoltare i testi proposti, e le testimonianze dei nostri missionari. E forse farei bene a fermarmi proprio qui: dopo l’ascolto di padre Giuseppe Mizzotti, e dopo la testimonianza di padre Gigi Maccalli, farei meglio a tacere… Corro comunque il rischio di proporvi tre pensieri intrecciati tra di loro un po’ malamente, a partire da un’annotazione autobiografica.
- Nella mia diocesi di origine, quella di Reggio Emilia – Guastalla, ho avuto la grazia – perché tale la considero – di conoscere l’attività missionaria sia della diocesi stessa, sia dei missionari originari della diocesi, operanti in istituti missionari. Ho avuto anche la grazia di contribuire a questa attività con il mio piccolo, piccolissimo mattone: e anche questo lo considero un grande dono. Continua nell’ ALLEGATO
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