È quello che si chiede, in questa sofferta lettera, P. Giuseppe Mizzotti. Inviata da Bergamo e non da Lima, dove P. Giuseppe sogna di ritornare, cerca di fare chiarezza sui luoghi comuni che da troppo tempo accompagnano il Natale
Bergamo, Natale 2020
Carissimi amici ed amiche,
da Bergamo vi scrivo, non da Lima… un primo segno di esilio prolungato, non voluto, sofferto, imposto da un virus invisibile ma implacabile… che ci obbliga tutti, in Perù ed in Italia, a celebrare queste feste a partire dalla nostra esperienza di fragilità che la pandemia ci fa sperimentare in tutta la sua tragicità.
La paura, l’insicurezza, il dolore di fronte a tanta sofferenza, l’impotenza per immunizzare il virus e per curare le ferite aperte nella nostra organizzazione sociale: l’orizzonte si fa scuro e non è facile guardare avanti con fiducia.
Tanto qui come in Perù, tutti, in questo contesto, soffriamo la fragilità…
Oltretutto la pandemia non fa distinzioni tra polmoni di ricchi e polmoni di poveri…
Ma poi la distinzione la facciamo noi, perché non è la stessa cosa essere povero o essere ricco di fronte all’aggressività del virus… i mezzi per proteggerci sono tremendamente differenti… Continua nell’ ALLEGATO
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