Questo il senso della riflessione condotta dal Vescovo, durante la Veglia celebrata nella Chiesa dei Sabbioni, il 25 marzo scorso, commentando il Vangelo di Giovanni sulla figura del Buon Pastore.
I monaci trappisti di Tibhirine, che si erano trovati – anche per la posizione geografica del loro monastero – in mezzo tra gli integralisti islamici e l’esercito algerino, durante la terribile guerra civile che devastò l’Algeria intorno alla metà degli anni ’90, avevano fatto la scelta di chiamare gli uni (gli integralisti islamici) i «fratelli della montagna» e gli altri (l’esercito, il cui comportamento era tutt’altro che ineccepibile) i «fratelli della pianura». E fr. Luc, il monaco che era anche medico, e che curava tutta la popolazione all’intorno, aveva curato feriti degli uni e degli altri.
Era il modo che avevano scelto non per rimanere neutrali, non per nascondersi dietro un «né con gli uni, né con gli altri» (tant’è vero che poi furono rapiti e uccisi, nella primavera del 1996… e a tutt’oggi non è ancora chiaro a chi sia dovuta la loro morte), ma piuttosto per dire che l’atteggiamento del cristiano, quando si tratta delle persone, non può che essere «per» – non può che essere il «dare la vita». Continua nell’ ALLEGATO
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