Nel grigio polveroso di Aleppo spuntava questa macchia di colore. Quando il cielo – pulito dalla bombe – lo consentiva, Anas AL – BASHA si sistemava sulla testa una parrucca arancione, poi il cappello giallo, si dipingeva di rosso naso e bocca e andava nelle scuole, nei centri sociali (quel che resta delle scuole e dei centri sociali), nelle strade dei quartieri est a far sorridere i bambini. Ci riusciva. Nonostante i massacri, nonostante il sangue, nonostante i traumi e il niente di una città-cimitero. Ci riusciva e ci ha provato fino all’ultimo. Fino a martedì, quando un raid – presumibilmente delle forze governative – sulla zona di Mashhad, ha ucciso anche lui. Anas, 24 anni, era un attivista di Space for Hope, un’organizzazione siriana che fornisce sostegno ai bambini di Aleppo con attività collettive e di supporto psicologico, stanziando fondi per mantenere quasi 400 piccoli rimasti senza genitori. Voleva solo provare a fermare la guerra, almeno per qualche ora. La guerra ha fermato lui. Aveva scelto di rimanere anche quando quest’estate la maggior parte dei residenti erano stati costretti a fuggire dall’avanzata delle truppe di Assad, che hanno cinto d’assedio la zona. Anche i suoi genitori avevano dovuto andar via. Lui no. E due mesi fa aveva sposato la sua compagna, che ora resta intrappolata nel quartiere senza vie di fuga. «Non era un terrorista. Era un civile, che lavorava giorno e notte per portare un sorriso ai bambini siriani. Che viveva per far ridere i bambini e renderli felici nel più oscuro e pericoloso posto del mondo»: questo il post su Facebook di Mahmoud al-Basha, fratello di Anas, che non ha esitato a puntare il dito contro «i russi e il regime di Assad che lo hanno ucciso». «Sono orgoglioso di te, fratello mio – ha scritto Mahmoud –. Arrivederci caro. Riposa in pace, hai portato gentilezza in un mondo crudele». Migrantes on line – 02.12.2016