Quando accolse sei rifugiati nel Trevigiano fu insultato e minacciato. Nominato cittadino europeo dell’anno: non potevo stare a guardare
«Ti ammazzeranno, stupreranno tua moglie e tua figlia, ti porteranno via tutto», così gridavano, sventolando bandiere indipendentiste, alcuni degli abitanti di Camalò di Povegliano, 10 chilometri da Treviso, quando nel 2015 il professor Silvio Antonio Calò decise di portare a casa sua sei giovani africani, intorno ai vent’anni, per ospitarli in pianta stabile.
Oggi quei ragazzi lavorano tutti: due con un contratto a tempo indeterminato, gli altri con ottime speranze di averne uno. «Quando mi sono rivolto all’Ascom, che si occupa di tirocini professionali sul territorio – racconta il professore davanti a una sala gremita e curiosa, l’altra sera a Roma, alla Casa Internazionale delle Donne, in un incontro organizzato dall’Istituto Affari Internazionali, alla presenza di un solo politico, Emma Bonino – ho chiesto che fossero rispettate due condizioni: la prima che non si trattasse di finti lavori, magari per coprire contratti di maternità o altre cose senza prospettive, la seconda che non fossero lavori richiesti da altri italiani». Continua nell’ ALLEGATO
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