Il Brasile, al terzo posto nel mondo, dopo gli Stati Uniti e l’India, per numero di casi certificati e di vittime del coronavirus, vive una crisi non solo sanitaria, ma anche economica, politica e istituzionale.
La grave recessione da epidemia (con un calo del Pil previsto nel 2020 tra il 7 e il 9 per cento) interviene su un’economia mai davvero risollevatasi dalla crisi finanziaria del 2008-2009 e che negli ultimi sei anni ha alternato fasi di stagnazione ad altre di contrazione, prefigurando una disoccupazione tra il 17 e il 20 per cento della popolazione attiva (cui va aggiunto almeno un 41 per cento di lavoratori sottoccupati) e un ulteriore inasprimento delle disuguaglianze sociali in un paese in cui già nel 2018 l’1 per cento più ricco contava su un reddito mensile 34 volte superiore a quello del 50 per cento più povero. Non a caso quasi la metà (49,5 per cento) dei brasiliani ha ricevuto i 600 reais (100 euro) mensili dell’“aiuto di emergenza” stanziato in marzo dal Parlamento, che nel 2017 aveva invece deciso il congelamento della spesa pubblica destinata alla sanità e all’istruzione per i prossimi venti anni.
GOVERNO BOLSONARO SOTTO PRESSIONE…
Questa situazione, insieme all’atteggiamento negazionista del presidente Jair Bolsonaro rispetto alla gravità del Covid-19, definito “un’influenzetta”, alla sua costante tendenza a promuovere la polarizzazione politica, agli scandali che coinvolgono i familiari, per difendere i quali non ha esitato a scontrarsi con le altre istituzioni dello Stato, crea tensioni all’interno del blocco sociale su cui poggia l’esecutivo. Continua nell’ ALLEGATO
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