Si è spento a 74 anni il missionario comboniano fratel Elio Croce. Colpito dal coronavirus era stato trasferito nelle scorse settimane da Gulu (Uganda), dove operava da mezzo secolo, alla capitale Kampala. Pur essendo originario di Moena, contava, in virtù del profondo legame con Padre Pizzi, nella nostra diocesi molti amici, che oggi lo piangono commossi e riconoscenti per il bene che ha fatto.
Il tratto più caratteristico di fratel Elio era la simpatia: immediata, coinvolgente e subito corrisposta. Ti sorprendeva la sua rude scorza montanara che si stemperava su un viso che ricordava il Sean Connery maturo e perfettamente a suo agio nel film “Il nome della rosa” e alla fine ti conquistava con una di quelle sue battute, spesso in dialetto, con le quali sapeva sdrammatizzare anche le situazioni più difficili.
Nato a Moena, in Trentino, si era diplomato perito metalmeccanico per poi specializzarsi nella manutenzione e riparazione di apparecchiature a raggi X ed elettromedicali. Entrato a far parte della famiglia dei Missionari Comboniani, aveva voluto rimanere “fratello” per mettere a disposizione degli altri le sue competenze tecniche.
Partito per la missione nel 1971, la sua destinazione fu fin dall’inizio l’Uganda, fermandosi a Gulu, nella zona settentrionale del Paese e impegnandosi sul fronte dell’assistenza sanitaria. Fu così che incrociò i coniugi Piero Corti, pediatra brianzolo e Lucille Teasdale, chirurgo pediatrico canadese ed insieme riuscirono a trasformare un piccolo presidio sanitario comboniano nel più grande ospedale senza scopo di lucro dell’Africa equatoriale, il St. Mary’s Lacor, per l’appunto, che oggi ha 600 dipendenti ugandesi e cura ogni anno 250mila persone, di cui l’80% sono donne e bambini, i più colpiti dalla povertà e dalle durissime condizioni di vita. Assunse così l’incarico, poi mantenuto fino alla fine, di responsabile dei servizi e della manutenzione dell’ospedale, eseguendo riparazioni e nuove installazioni. Continua nell’ ALLEGATO
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