Brasile. A São Félix do Araguaia don Pedro era arrivato alla fine nel 1968, dopo 7 giorni di viaggio, quando era solo un piccolo villaggio di 600 abitanti, ai margini del Rio Araguaia. E lì avrebbe combattuto fino alla fine la sua battaglia al lato di indigeni, contadini, senza terra, lavoratori ridotti in schiavitù, immigrati poveri del Sud.
Una ventina di anni fa il vescovo Pedro Casaldáliga – catalano di nascita, brasiliano di adozione e «patrimonio di tutta l’umanità» – celebrava una messa nel giorno dei defunti nel “Cimitero dei karajás”, a São Félix do Araguaia, in Mato Grosso. Il cimitero della gente più povera della regione, quello in cui hanno trovato sepoltura tanti indigeni e tanti senza terra sfruttati nelle fazendas dedite all’allevamento del bestiame. Alla fine della messa, il vescovo disse: «Voglio che tutti voi ascoltiate attentamente, perché intendo parlare di qualcosa di molto serio: è qui che io voglio essere sepolto».
Ed è lì che ieri sono stati portati i suoi resti mortali, dopo la messa funebre nella cappella dei clarettiani di Batatais, dove sabato don Pedro si è spento all’età di 92 anni per una grave infezione respiratoria, e dopo quella nel Santuario dei Martiri della Caminhada (parola bella ed efficace che in Brasile si usa spesso per indicare l’impegno del popolo per la liberazione), nella località di Ribeirão Cascalheira, in Mato Grosso, dove il feretro è arrivato dopo un viaggio di oltre 1.100 chilometri. Continua nell’ ALLEGATO
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