Carissime, Carissimi,
abbiamo voluto aprire questo numero della Comunicazione con due fotogrammi tratti da uno dei filmati più drammatici che la cronaca di questi giorni ci abbia offerto. E a commento ci sono le parole disperate urlate dalla madre alla ricerca di quel figlio di solo sei mesi…
Immaginate, una notte – scrive Marina Corradi su Avvenire di ieri – di avere un incubo. Vi trovate in alto mare, sotto a un cielo color piombo. Siete rimaste sole su gommone che si è appena rovesciato, fra onde minacciose. Vi riprendete, ma vi ritrovate con le braccia vuote. E il bambino, mio Dio, il bambino di sei mesi che tenevate stretto come un tesoro? ‘Dov’è il mio bambino? Ho perso il mio bambino! Dov’è il mio bambino?’, gridate, e in quel momento vi svegliate, il cuore a cento all’ora. Ma non è un incubo, è tutto vero. Nel Mediterraneo, l’altro ieri. Un gommone con cento a bordo naufragato, Open Arms l’unica nave in soccorso, sei i morti accertati. Fra cui Joseph, sei mesi. Prologo, questa tragedia, a un’altra, di ieri: settantaquattro morti al largo di Khums, in Libia. Un nuovo massacro che non troverà molto spazio sui giornali.
Noi madri, padri, nonni, sappiamo tutti bene com’è un bambino di sei mesi, leggero ancora fra le braccia, gli occhi spalancati e curiosi, e i gorgoglii, e i sorrisi (sorridono, a quell’età, come se credessero in un mondo bellissimo). Provate, con uno di questi vostri bambini in braccio, a immaginare di salire su un gommone malmesso, stracarico, in un mare agitato. Come si fa a esporre un neonato al sole a picco dell’estate, alla sete, o alle tempeste dell’autunno e dell’inverno? Continua nell’ ALLEGATO
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