ROUEN E LA DIFFERENZA CRISTIANA

Poche parole, ma chiare e profonde, di Christian ALBINI sulla tragedia di Rouen.

Jacques Hamel
Jacques Hamel

Il martirio di Rouen è l’ultimo atto della campagna di terrore di questa estate che ha il suo epicentro in Francia. La strategia sembra quella di colpire in modo casuale i luoghi della convivenza e della vita quotidiana per suscitare un clima di terrore diffuso. Bastano poche persone che si attivano qua e là, con un effetto amplificato da squilibrati come quello di Monaco. Colpire una chiesa e un prete ha un perverso valore simbolico, ma può essere un grave errore da parte dei terroristi che vogliono alimentare la spirale della violenza e trascinarci nello scontro di civiltà per egemonizzare il mondo islamico. Proprio da un atto come questo può emergere la differenza della logica cristiana rispetto alla logica del terrore. Là dove ci si muove nello spazio della mitezza che non fa di una cultura e di una religione un nemico da odiare – e questo è il Vangelo – il terrorismo è disarmato prima di tutto davanti agli stessi musulmani perché è smentito il teorema della sua ideologia secondo cui i cristiani sono crociati da combattere. È il terrorismo che fa guerre di religione che, per la fede cristiana non esistono. I cristiani si oppongono perciò al terrorismo, non a una civiltà o a una religione. Così come nella Seconda Guerra Mondiale il male stava nell’ideologia nazista e nei suoi seguaci, non nel popolo o nella cultura tedeschi.

 

CARI LETTORI, VI SPIEGO PERCHÉ CREDO CHE I MUSULMANI DEBBANO MOBILITARSI

massimo-gramelliniColpito nel vivo, Massimo GRAMELLINI torna sull’argomento, cercando di chiarire la propria posizione sull’importanza di una maggiore e più consapevole mobilitazione del mondo musulmano.

“Mi spiace che le voci critiche, alcune intrise di un vittimismo francamente stucchevole, abbiano ignorato il riferimento storico alla vicenda delle Br. Neanche gli operai comunisti erano fiancheggiatori dei brigatisti. Anzi, è proprio perché non lo erano che riuscirono a isolarli. Ma cominciarono a farlo il giorno in cui smisero di usare formule generiche come l’attuale «Not in my name» per riconoscere che la malapianta non veniva da Marte, ma dal loro stesso giardino”.

L’intervento completo nell’ALLEGATO

CHE COSA ACCADE IN TURCHIA?

PADRE MONGEPadre Claudio MONGE, piemontese, domenicano e teologo delle religioni, vive da 14 anni in Turchia. A Istanbul è parroco nella Chiesa dei Santi Pietro e Paolo. E’ stato intervistato per Radio Vaticana da Fabio COLAGRANDE.

A suo avviso, quanto sta accadendo nel Paese è una evoluzione di ciò che si era visto negli ultimi tempi.
A me sembra una semplice impennata, in termini di proporzioni, rispetto ad una politica che il potere turco sta applicando sistematicamente da oltre due anni. Basta avere un minimo di memoria storica. La svolta è stata il famoso scandalo per corruzione che falciò uno degli esecutivi del governo, nel dicembre del 2013, e che interessò palesemente i membri della famiglia del presidente stesso e di molti ministri”.    L’intervista completa nell’ALLEGATO

NON È MAI TROPPO TARDI PER RINNOVARSI

Ottant’anni portati bene, una grinta invidiabile e tanti progetti per la testa: ecco il ritratto di Madre Felicita RIBOLI, canossiana, originaria di Campagnola, da oltre 40 anni missionaria in Argentina. Dopo 14 anni di assenza dall’Italia è tornata quest’anno per incontrare la sua famiglia: l’unico fratello, le cognate, i nipoti e i pronipoti.

 Madre Felicita, quattordici anni sono tanti: che cosa è avvenuto in questo tempo?
argentinaHo trascorso gli ultimi 26 anni a Misiones, nel nord est argentino, nella regione chiamata Mesopotamia, perché circondata da fiumi. La cittadina dove mi trovavo era Jardín América, il Giardino dell’America, chiamata così per la sua vegetazione sub tropicale. Veramente un posto molto bello dal punto di vista dell’ambiente. Il mio apostolato era con gli anziani del nostro Ospizio, ricoverati lì o perché i familiari non li potevano tenere a casa o perché senza famiglia. Sono stati molti anni di lavoro intenso, umano e spirituale. Infatti oltre che dar loro il necessario per vivere, alimenti, vestiti, pulizia, si offriva loro anche sostegno spirituale, con la preghiera giornaliera del Rosario, la Messa settimanale, qualche trasmissione televisiva cattolica e soprattutto con il dialogo continuo. Gli anziani erano più o meno 14, anche se la capacità dell’ambiente era di 20, tuttavia le disposizioni di sicurezza argentine e le possibilità economiche della Congregazione, che deve sostenere l’opera, giacché gli interni non sono in grado di pagare tutte le spese, non me ne permettevano di più. Ogni anziano aveva la sua stanza con tutte le comodità e in più c’era un ambiente comune per il pranzo, per guardare la televisione e per stare insieme, se lo si  desiderava. Poi a febbraio la Madre Provinciale Argentina ha pensato che per me era venuto il tempo di lasciare questa missione un po’ faticosa per una persona di ottant’anni.       L’intervista completa nell’  ALLEGATO

VANNO E VENGONO

È tempo di ferie anche per i missionari e diversi sono già a casa, mentre altri stanno per arrivare.

Sono già a casa:

Don Apollinaire KOUAKOU, dalla Costa d’Avorio (Sergnano)
Madre Felicita RIBOLI, dall’Argentina (Campagnola)
Padre Francesco VALDAMERI, dallo Zambia (Pieranica)
Padre Gianni ZANCHI, dal Bangladesh (Montodine)
Padre Gigi MACCALLI, dal Niger (Madignano)
Padre Walter MACCALLI, dall’Angola (Madignano)               Benvenuti!

 Continua la permanenza di don Federico BRAGONZI e mons. Arturo FAJARDO, vescovo di S. José de Mayo – Uruguay. Come sappiamo l’obiettivo della visita del vescovo uruguayano è di rafforzare la collaborazione o, come ama dire lui stesso in lingua spagnola, “el hermanamiento”, la fratellanza tra le due diocesi. Si tratta di un gesto importante che segna un primo passo nella direzione, da molto tempo auspicata, di quel vero scambio tra Chiese, che supererà quell’andamento a senso unico, dall’Europa verso l’esterno, che da sempre ha caratterizzato la “missione alle genti”. Per questo motivo incontrano volentieri le Comunità cristiane e le realtà missionarie presenti sul territorio. Per qualunque contatto basta telefonare all’Ufficio Missionario  (martedì – giovedì ore 15 – 18 sabato ore 9 – 12   tel. 0373/87989 al mattino: tel. 0373/256274 – 331.1016709 )

LAMPEDUSA: CONCLUSA OGGI LA SUMMER SCHOOL SULLA MOBILITÀ UMANA

“I fatti che hanno investito l’Europa in questi giorni dimostrano, una volta di più, come il destino del nostro continente sia indissolubilmente intrecciato al tema delle migrazioni”.
lampedusaSi è conclusa venerdì 22 luglio a Lampedusa la settima edizione della Summer schoolMobilità umana e giustizia globale. Un mare di speranza. Migranti forzati alle porte dell’Europa”, alla quale ha partecipato anche Chiara Longhi della Commissione Migrantes della nostra Diocesi.
Questo il commento della direttrice Laura ZANFRINI: «La folta partecipazione, dall’Italia e dall’estero, testimonia di un diffuso bisogno di comprendere un fenomeno che ci si presenta oggi con dimensioni tanto copiose quanto imprevedibili nella loro evoluzione, ma anche di leggerlo sia nelle sue dimensioni economiche, politiche, sicuritarie, che egemonizzano un dibattito pubblico prigioniero di opposte strumentalizzazioni, sia soprattutto nelle sue implicazioni etiche. Quelle che ci rendono consapevoli di come scelte e non scelte in tema di governo della mobilità umana costituiscono la cartina di tornasole della nostra civiltà, dei valori che vogliamo lasciare in dote alle giovani generazioni, della concezione della giustizia”.

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17/07/2016. ANGELUS DI PAPA FRANCESCO

Nel Vangelo odierno l’evangelista Luca racconta di Gesù che, mentre è in cammino verso Gerusalemme, entra in un villaggio ed è accolto a casa di due sorelle: Marta e Maria (cfr Lc 10,38-42).

                                                      Cari fratelli e sorelle,

angelus-17 LUGLIOEntrambe offrono accoglienza al Signore, ma lo fanno in modi diversi. Maria si mette seduta ai piedi di Gesù e ascolta la sua parola (cfr v. 39), invece Marta è tutta presa dalle cose da preparare; e a un certo punto dice a Gesù: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti» (v. 40). E Gesù le risponde: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta» (vv. 41-42).

Nel suo affaccendarsi e darsi da fare, Marta rischia di dimenticare – e questo è il problema – la cosa più importante, cioè la presenza dell’ospite, che era Gesù in questo caso. Si dimentica della presenza dell’ospite. E l’ospite non va semplicemente servito, nutrito, accudito in ogni maniera. Occorre soprattutto che sia ascoltato. Ricordate bene questa parola: ascoltare! Perché l’ospite va accolto come persona, con la sua storia, il suo cuore ricco di sentimenti e di pensieri, così che possa sentirsi veramente in famiglia. Ma se tu accogli un ospite a casa tua e continui a fare le cose, lo fai sedere lì, muto lui e muto tu, è come se fosse di pietra: l’ospite di pietra. No. L’ospite va ascoltato. Certo, la risposta che Gesù dà a Marta – quando le dice che una sola è la cosa di cui c’è bisogno – trova il suo pieno significato in riferimento all’ascolto della parola di Gesù stesso, quella parola che illumina e sostiene tutto ciò siamo e che facciamo. Se noi andiamo a pregare – per esempio – davanti al Crocifisso, e parliamo, parliamo, parliamo e poi ce ne andiamo, non ascoltiamo Gesù! Non lasciamo parlare Lui al nostro cuore. Ascoltare: questa è la parola-chiave. Non dimenticatevi! E non dobbiamo dimenticare che nella casa di Marta e Maria, Gesù, prima di essere Signore e Maestro, è pellegrino e ospite. Dunque, la sua risposta ha questo primo e più immediato significato: “Marta, Marta, perché ti dai tanto da fare per l’ospite fino a dimenticare la sua presenza? – L’ospite di pietra! – Per accoglierlo non sono necessarie molte cose; anzi, necessaria è una cosa sola: ascoltarlo – ecco la parola: ascoltarlo -, dimostrargli un atteggiamento fraterno, in modo che si accorga di essere in famiglia, e non in un ricovero provvisorio”.

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DOPO NIZZA URGE UNA RIFLESSIONE CONDIVISA

I fatti di Nizza, dopo la doverosa testimonianza di affetto e di solidarietà verso le vittime e i loro parenti, hanno riacceso la discussione su chi, dove e come combatte o deve combat-tere l’Isis e la sua strategia del terrore. Lasciando perdere gli più superficiali e banali, uno per tutti “Islamexit” pubblicato dal quotidiano Libero, ci siamo soffermati su altri decisamente più seri e che rispecchiano il pensiero e i discorsi che spesso ascoltiamo nelle conversazioni.

Ecco allora due articoli comparsi quasi contemporaneamente, anche perché si richiamano a vicenda, pur presentando due modi diversi di affrontare il problema. Il primo è di Massimo GRAMELLINI, noto editorialista della Stampa, che, con il suo “Buongiorno” fotografa le contraddizioni della nostra società. Questa volta però ha trovato pane per i suoi denti in una giornalista musulmana, Sabika Shah POVIA, che dalle colonne del The Post Internazionale, ribatte, parola per parola, alle tesi di Gramellini.
Leggiamoli e giudichiamo.


Massimo GRAMELLINI
Massimo GRAMELLINI

CARO MUSULMANO I TUOI FRATELLI ADESSO SIAMO NOI

Caro musulmano non integralista che vivi in Occidente, esci fuori. Lo so che esisti, ti ho conosciuto. In privato mi hai confidato tante volte il tuo sgomento per l’eresia wahabita che ha deformato il Corano, trasformando il suicidio in un atto eroico, e la tua rabbia verso la corte saudita che si atteggia a nostra alleata e invece finanzia quell’eresia dai tempi di Bin Laden.
L’articolo completo nell’ ALLEGATO

CARO GRAMELLINI, TU NON SEI MIO FRATELLO

Sabika Shah POVIA
Sabika Shah POVIA

Eccomi. Sono qui. Sono uscita. Sono uscita giorni, mesi, anni fa. Sono uscita tutti i giorni dall’11 settembre in poi. Forse non mi hai vista. Forse non mi hai voluta vedere, ma io sono uscita ed insieme a me sono usciti i miei fratelli, musulmani e non, italiani e non. Gente figlia dell’amore, gente che crede nell’unità del popolo, nella libertà e nell’uguaglianza.
Hai ragione quando dici che servono gesti, che cambino la trama di questa storia, ma sbagli ad aspettarteli solo da me. Sbagli a pensare che tu puoi permetterti il lusso di “restare sull’uscio ad osservare”, mentre io combatto la nostra battaglia: quella di tutti noi cittadini europei che crediamo nella pace e nella convivenza tra popoli, religioni, etnie. Quella che già combatto da tempo, ma che non posso vincere senza di te.

L’articolo completo nell’ALLEGATO

BANGLADESH UN PAESE SULL’ORLO DEL BARATRO

bangladeshAbbiamo pensato a lungo a P. Gianni ZANCHI quando, durante la Quaresima abbiamo sostenuto il progetto della Scuola Tecnica, promossa dai Missionari del PIME a Dinajpur. Una scuola che permette a chi la frequenta l’immediato inserimento nel mondo del lavoro. Questa volta però padre Gianni ci ha parlato a cuore aperto della sua missione. Ne esce un quadro affascinante, ma nello stesso tempo drammatico.

“Incontriamo padre Gianni ZANCHI, montodinese e missionario del P.I.M.E. un sabato mattina. Si capisce subito che ha voglia di parlare. Anche senza domande incomincia subito a raccontare. Sono cose che tiene dentro da molto tempo ed è giusto che sia finalmente venuto il momento di condividerle. Si capisce che è profondamente innamorato del Bangladesh e della sua gente e soffre profondamente per quello che sta succedendo”.          L’intervista completa negli Allegati ( 3 ) e ( 4 )