Siamo rimasti tutti sconcertati dagli avvenimenti di Goro (Ferrara), dove a dodici donne profughe con i loro otto bambini, che avrebbero trovato sistemazione in un ostello, è stato proibito con la costruzione di barricate di entrare in paese. Se pensiamo che una volta le barricate erano sinonimo di resistenza allo strapotere e alla violenza, mentre oggi sono strumento di sopraffazione e di rifiuto verso i deboli e gli inermi, riusciamo a capire quanta umanità abbiamo perduto in questi pochi anni. Tratto dal blog SPERARE PER TUTTI di Christian Albini, proponiamo questa breve intervista con il parroco del paese romagnolo curata da Fabrizio Contessa, de “L’Osservatore Romano” del 26 ottobre 2016.
«Non è quello delle barricate il paese che conosco. Che ho conosciuto in tutti questi anni». Don Francesco Garbellini, dal 2008 parroco di Goro e di altri due piccoli centri del ferrarese, Bosco Mesola e Monticelli, da due giorni è testimone di una situazione che definisce davvero inedita per un territorio, quello del delta del Po, che in passato per decenni è stato terra di povertà severa e immigrazione e ora si trova a essere sotto i riflettori per un episodio che, come ha rimarcato l’arcidiocesi di Ferrara-Comacchio, «ripugna alla coscienza cristiana».Fortunatamente, oggi, mercoledì, il presidio è stato rimosso e, ha assicurato il sindaco, «gli abitanti hanno dato la loro disponibilità ad accogliere in futuro». Del resto, Goro «non è mai stato un paese egoista». Qui negli ultimi anni, racconta il sacerdote al nostro giornale, «tante coppie hanno adottato bambini orfani dall’Africa e dall’Asia, sempre nel massimo rispetto della loro dignità e delle culture d’origine. E nessuno ha avuto niente da ridire. Tutti sono stati accolti». Come si spiega allora questa improvvisa reazione? Don Francesco, che non esclude lo zampino di qualche fomentatore “di professione” arrivato giustapposta da fuori regione, parla di un «deficit di informazione». E, soprattutto, di «educazione». Probabilmente, afferma, «la situazione poteva anche essere preparata meglio. La gente poteva essere informata, preparata. E forse si sarebbe sgomberato il campo da una paura immotivata». Perché spesso, afferma, «si guarda più ai mali e non al bene. C’è una difficoltà di educazione, di motivazione». In questo senso, chiarisce, «qualcuno ha detto che domenica sgriderò i fedeli dall’altare. Certo li richiamerò ai principi del Vangelo, al dovere cristiano dell’accoglienza. Ma a me interessa soprattutto il dialogo con le persone. Il dialogo personale. Occorre parlare, aiutare le persone a riflettere, a capire. Certo, non è detto che poi le questioni si risolvono ma bisogna comunque avere fiducia. Anche in questo per noi l’esempio di Papa Francesco è un sicuro punto di riferimento».