Si alza il livello di scontro nel Paese asiatico. Le manifestazioni contro il colpo di stato si allargano a macchia d’olio, mentre l’esercito, in difficoltà, usa proiettili letali, gas lacrimogeni e granate assordanti. Significativa la protesta dei Cristiani.
Sembra un paradosso, ma l’aumentata violenza con la quale polizia ed esercito aggrediscono i manifestanti sembra far crescere, di contro, la volontà di resistenza di questi ultimi.
È un bollettino di guerra il bilancio degli scontri dell’ultimo giorno di febbraio: 18 i morti, oltre 30 i feriti e 470 gli arrestati. Eppure le dimostrazioni si stanno estendendo a molte città del Myanmar, al grido “La democrazia è la nostra causa” e “ Lotteremo fino alla fine”. Così giovani e meno giovani sfilano per le strade con il braccio alzato, nel saluto delle tre dita reso celebre dal film Hunger Games e usato a lungo da giovani militanti pro-democrazia in Thailandia e altri Paesi asiatici.
La durata e l’ampiezza delle manifestazioni e dello sciopero sostenuto dal Movimento della disobbedienza civile sta mettendo in crisi il funzionamento del Paese e frustrando la Giunta, premuta anche dalle critiche della comunità internazionale. La scorsa settimana, il gen. Min Aung Hlaing aveva chiesto ai militari di usare forza minima per contenere le proteste. Ma questo non ha impedito all’esercito di usare la mano pesante nella repressione, al punto che già da alcuni giorni si registrano defezioni dalla polizia, che vanno ad aggiungersi ai dimostranti. Quest’oggi è stato diffuso un video in cui un maggiore della polizia di Yangon, Tin Min Tun, ha dichiarato di “non voler servire sotto il presente regime militare”. Sui social egli ricorda di aver servito la polizia dal 1989 e afferma: “Se questo regime militare rimane al potere, non raggiungeremo ciò che volgiamo nei prossimi 20 o 25 anni. Perderemo ancora una volta”. Continua nell’ ALLEGATO
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