Un anno fa, il 2 settembre 2015, l’immagine di Aylan, il bambino siriano di tre anni annegato nelle acque dell’Egeo e ritrovato sulla spiaggia turca di Bodrum, scuoteva l’opinione pubblica europea. Aylan, nel 2015 è stato uno degli oltre 700 bambini morti nel Mediterraneo.
A un anno di distanza continua il cammino di tanti minori con i familiari, ma soprattutto non accompagnati – solo questi sono 40.000 tra il 2014 e il 31 agosto 2016 sbarcati sulle nostre coste – e continuano le morti di minori nel Mediterraneo, stimati in almeno 500. Il ricordo di Aylan aiuta a riconsiderare il dramma di tanti minori in fuga da guerre, da calamità naturali e che condividono il cammino delle proprie famiglie o di tanti adulti. Forse per questi minori che arrivano nel nostro Paese, anche per i tanti che non riescono ad attraversare il ‘Nostro Mare’ sarebbe prioritario un impegno maggiore nella tutela, nella accoglienza familiare nei nostri comuni e un’attenzione maggiore anche nell’accompagna- mento del loro cammino in Europa, alla ricerca dei loro familiari. In questo modo, il ricordo di Aylan sarebbe onorato.
Mons. G. Carlo Perego, direttore generale Migrantes Roma, 02.09.2016
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Notiziario – riflessioni
SE LA VESTE DIVENTA LA PERSONA
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L’abito non fa il monaco (nemmeno il terrorista, probabilmente…) esattamente come il “non abito” non fa il “laico”. Burkini sì, burkini no: Roberto BERETTA, giornalista nelle pagine culturali del quotidiano Avvenire, affronta il tema scottante dell’abito intero per le donne musulmane che vanno in spiaggia.
Un’amica suora, molto anziana e molto missionaria, mi raccontò una volta che – all’inizio della sua vita religiosa – la regola vietava di spogliarsi persino da sole, in bagno, per cui ci si doveva lavare con una sorta di camicione che impediva di vedersi nude. E, quando le toccò di partire per un afoso Paese terzomondiale, non fu facile ottenere la dispensa ad adattare l’abito (pensato per il clima europeo) alle ben diverse condizioni ambientali del luogo. Sto pensando alla vicenda del burkini, …
Il testo completo dell’articolo continua nell’‘ALLEGATO
ABBIATE IL CORAGGIO DI INSEGNARCI CHE È PIÙ FACILE COSTRUIRE PONTI CHE INNALZARE MURI!
Alla sera del 30 luglio, si è svolta la Veglia di preghiera con i Giovani della GMG. Per l’occasione il Papa ha comunicato ai giovani presenti alcuni pensieri molto coraggiosi sul futuro che essi sono chiamati a costruire. Non lasciatevi spaventare dalla lunghezza! I pensieri si snodano semplici e avvincenti…
Cari giovani, buona sera!
È bello essere qui con voi in questa Veglia di preghiera. Alla fine della sua coraggiosa e commovente testimonianza, Rand ci ha chiesto qualcosa. Ci ha detto: “Vi chiedo sinceramente di pregare per il mio amato Paese”. Una storia segnata dalla guerra, dal dolore, dalla perdita, che termina con una richiesta: quella della preghiera. Che cosa c’è di meglio che iniziare la nostra veglia pregando? Continua con l’ ALLEGATO
QUEL FILO TRA TERRORISMO E FEMMINICIDIO
Un articolo di Lea MELANDRI, sul blog “La ventisettesima ora” (Corriere della Sera) ipotizza un’analogia tra terrorismo e femminicidio (dove in Italia è quest’ultimo a mietere più vittime, oltre sessanta da inizio 2016) che solleva interrogativi inquietanti sulla nostra cultura e sulla nostra scarsa consapevolezza della violenza che ci abita.
Che differenza passa tra la mano di un marito, fidanzato, amante, fratello, che per colpire la donna, sotto la spinta di quella legge di sopravvivenza che Elias Canetti definisce mirabilmente “morte tua, vita mia”, e quella del giovane reso folle dall’odio per il nemico, reale o immaginario, che gli rende insopportabile la vita?
Le armi, le forme atroci, selvagge con cui si dà la morte sono le stesse, e anche i numeri, se si guardano le statistiche, non danno certo il primato alla violenza del terrorismo. Diverso è solo la ‘scelta’ della vittima: volti sconosciuti, da un lato, volti una volta amati dall’altro. Ma quella donna – moglie, fidanzata, amante – non è anch’essa, nell’immaginario e nel portato storico culturale della nostra come di altre civiltà, una figura ridotta alla funzione che riveste – erotica o procreativa – a cui non è stato riconosciuto fino alle soglie della modernità un “Io intellegibile”, la singolarità propria di ogni essere umano? Il conflitto diventa distruttivo nel momento stesso in cui l’“altro” diventa “cosa”, “oggetto” o proiezione fantastica, delirante, di chi ha ridotto il mondo al suo sistema chiuso di valori e spianato così la strada a ogni forma di totalitarismo. Come chiamare diversamente un potere che non ha solo relegato le donne fuori dalla sfera pubblica, ma imposto una visione unica del mondo filtrata attraverso le relazioni più intime – l’amore, la sessualità, la maternità, le cure e gli affetti famigliari – e fatta propria forzatamente dalle donne stesse?
CARI LETTORI, VI SPIEGO PERCHÉ CREDO CHE I MUSULMANI DEBBANO MOBILITARSI
Colpito nel vivo, Massimo GRAMELLINI torna sull’argomento, cercando di chiarire la propria posizione sull’importanza di una maggiore e più consapevole mobilitazione del mondo musulmano.
“Mi spiace che le voci critiche, alcune intrise di un vittimismo francamente stucchevole, abbiano ignorato il riferimento storico alla vicenda delle Br. Neanche gli operai comunisti erano fiancheggiatori dei brigatisti. Anzi, è proprio perché non lo erano che riuscirono a isolarli. Ma cominciarono a farlo il giorno in cui smisero di usare formule generiche come l’attuale «Not in my name» per riconoscere che la malapianta non veniva da Marte, ma dal loro stesso giardino”.
L’intervento completo nell’ALLEGATO
CHE COSA ACCADE IN TURCHIA?
Padre Claudio MONGE, piemontese, domenicano e teologo delle religioni, vive da 14 anni in Turchia. A Istanbul è parroco nella Chiesa dei Santi Pietro e Paolo. E’ stato intervistato per Radio Vaticana da Fabio COLAGRANDE.
“A suo avviso, quanto sta accadendo nel Paese è una evoluzione di ciò che si era visto negli ultimi tempi.
A me sembra una semplice impennata, in termini di proporzioni, rispetto ad una politica che il potere turco sta applicando sistematicamente da oltre due anni. Basta avere un minimo di memoria storica. La svolta è stata il famoso scandalo per corruzione che falciò uno degli esecutivi del governo, nel dicembre del 2013, e che interessò palesemente i membri della famiglia del presidente stesso e di molti ministri”. L’intervista completa nell’‘ ALLEGATO
L’AMERICA DI TRUMP E I GERMI DEL NOSTRO FONDAMENTALISMO
È vero che il fondamentalismo è solo di matrice islamica? La puntuale riflessione di Christian ALBINI, tratta dal suo blog Sperare per tutti, ci mostra che no è così e che anche noi, come si dice, abbiamo i nostri scheletri nell’armadio.
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Sappiamo tutti di Nizza, molto meno degli attentati che insanguinano altre parti del mondo. Ma siamo sicuri che il germe del fondamentalismo non sia presente anche nella nostra cultura occidentale e nel nostro modo d’intendere la religione cristiana? Dall’account twitter del gesuita James Martin, ho appreso della preghiera pronunciata alla convention repubblicana in cui Donald Trump è stato nominato candidato alla presidenza.
La Riflessione completa nell’‘ALLEGATO
“PERDONATECI”
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Padre Franco CAGNASSO è un missionario del PIME attualmente operante in Bangladesh. Dal suo blog abbiamo raccolto questa riflessione, profonda e delicata, che ci da l’idea del dramma che stanno vivendo anche gli abitanti del Bangladesh.
C’è tanta polizia, e ci sono capannelli di persone dall’aria mesta nel tratto di strada che conduce al luogo,ormai tristemente famoso, dove il terrorismo di radice islamica ha mas- sacrato nel nome di Allah 22 persone, fra cui 9 italiani e 7 giapponesi. Il locale è devastato, danneggiata è anche la clinica che lo fronteggia nello stesso giardino. Qualcuno ha portato fiori, e fra essi campeggia una corona anonima, con due parole sul nastro: “Forgive us” – Perdonateci. Credo che esprima il sentimento dominante, o comunque mol- to intenso, che pervade tanti bengalesi dopo la strage. Stupore, incredulità, paura, preoc- cupazione per sé e per il Paese, e anche la sensazione che quei giovani di buona famiglia, ubriachi di potere e di una fede impazzita, uccidendo stranieri che abitavano e lavoravano qui, discriminando fra musulmani e non, abbiano anche violentato il Bangladesh e l’imma- gine che ha di sé. La percezione della realtà ora è diversa, e piena di disagio: siamo capaci di questo? Si vorrebbe pensare che non è vero, si vorrebbe trovare una causa precisa, ma non la si trova. Ci si vergogna di se stessi, mentre non si sa rispondere alla domanda che è in tutti: e poi?
MA SENZA UNA LINEA COMUNE SI PERDE LA GUERRA AL TERRORISMO
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Un filo rosso lega le stragi di Dacca e Baghdad, finché la comunità internazionale non trova la compattezza e la volontà di intervenire contro chi si fa sponsor del terrorismo il contrasto non funzionerà. È quanto sostiene Fulvio SCAGLIONE, giornalista di Famiglia Cristiana e di Avvenire.
“L’aspetto più evidente è questo: quanto più perde terreno negli scontri campali, tanto più l’Isis sfrutta l’arma crudele degli attentati per segnalare di essere ancora forte e vitale. Un messaggio interno, per i militanti che hanno bisogno di essere galvanizzati, e anche esterno, per intimorire i nemici colpendoli, per così dire, alle spalle. Ma questa è la tattica del terrorismo”.
Nell’ ALLEGATO l’intervento completo
“HANNO AMMAZZATO EMANUEL, EMANUEL È VIVO!”
Alla notizia del brutale gesto, trasformato in omicidio di Emanuel, giovane sposo nigeriano, richiedente asilo, cristiano, da parte di un coetaneo italiano, nelle strade di Fermo, ho ripensato e parafrasato le parole di una famosa canzone di Francesco De Gregori. Le parole condannano un omicidio, frutto certamente di un clima intollerante, purtroppo diffuso non solo nelle Marche, ma anche in altre regioni d’Italia e d’Europa, che sta trasformando le discriminazioni e le conflittualità addirittura in atti di morte. Una morte assurda, ma preparata da questo clima sociale e politico che si nasconde dietro la mano omicida. Al tempo stesso, “Emanuel è vivo”, nella sua famiglia, in sua moglie e nella sua figlia morta in grembo, negli altri giovani richiedenti asilo accolti nel seminario vescovile di Fermo, nei tanti giovani che sono arrivati o stanno arrivando in Italia e in fuga soprattutto dall’Africa violentata e offesa da terrorismo, guerre, sfruttamento. Tocca a noi ora responsabilmente aiutare a guardare a questi volti e a queste storie con occhi diversi, con parole diverse, con una cura diversa. E’ paradossale che questa morte avvenga proprio nelle Marche, la regione italiana che insieme al Veneto e all’Umbria sta segnando per la prima volta nel 2015 il calo del numero degli immigrati: rifiutare fino ad uccidere i migranti significa anche preparare la morte delle nostre città, significa non guardare al futuro. Mons. Giancarlo Perego – Direttore Generale Fondazione Migrantes – 08.07.16